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Immagine del redattorePolimnia

Tournant musical et littéraire (seconda parte)

La scorsa settimana abbiamo concluso parlando del più noto e sfortunato tra i Labdacidi. L’Edipo greco (come quello di Stravinskij) è un uomo contro il Fato. Tornando al nostro tragico piemontese preferito, vediamo che questa è la sostanziale differenza tra il teatro greco e quello alfieriano, che diventa invece un teatro delle passioni, dove Fato o Numi[1] sono termini sotto cui si nasconde l’intuizione di quello che verrà poi chiamato inconscio e che Alfieri definisce “nascosissimo, ma naturalissimo e terribile tasto del cuore umano”. Proprio questa intuizione alfieriana a proposito della centralità delle passioni, che (come fa notare Paratore[2]) prende le mosse dalla tragedia di Seneca, ha fatto parlare Croce di protoromanticismo. L’impronta protoromantica e primitivista alfieriana è evidente anche nel ricorso al gusto dell’orrido, del terrifico e del vagamente macabro (di nuovo, vicino al gusto decadente senecano e a quello shakespeariano).

Franz Schubert ritratto da Wilhelm Rieder

Le atmosfere cupe e nordiche che avevano appassionato Alfieri nell’Ossian di Cesarotti e che aveva vissuto in prima persona nel suo viaggio in Svezia e in Finlandia[3] affascineranno i romantici dell’Ottocento, primo tra tutti Goethe. Stralci del poema ossianico sono tradotti, ad esempio, nel Werther e la sua atmosfera può essere ritrovata in altri scritti di Goethe, ad esempio nell’Erlkönig. Il testo di Goethe verrà poi musicato in maniera veramente geniale, al limite della pittura musicale psicologica, da Schubert. Un aneddoto racconta che il giovane compositore avesse inviato alcuni propri lieder al grande scrittore, ma che le parti fossero arrivate solo al consulente musicale di Goethe, che non le ritenne abbastanza valide da farle vedere al poeta. Ma qualche tempo dopo, durante una delle serate tipiche dei salotti illuministi, una cantante decise di eseguire l’Erlkönig di Schubert, come omaggio al padrone di casa. Goethe ne rimase affascinato e si alzò in piedi chiedendo subito di incontrare il compositore, ma purtroppo il giovane era morto…pochi musicisti ebbero una vita sfortunata quanto quella di Schubert!

Johann Wolfgang von Goethe, ritratto da J. K. Stieler nel 1828

Tornando a noi: Goethe, che ricordiamoci nasce nello stesso anno di Alfieri e che noi vediamo molto più vicino al romanticismo unicamente perché vissuto una trentina d’anni in più dello scrittore piemontese, proprio come Alfieri è ancora legato al Settecento e alla cultura classica solare e mediterranea, apparendoci quindi “uno spirito greco gettato in un essere nordico”[4], una personalità a cavallo tra due mondi e piena di contraddizioni. A questo proposito è interessante ricordare, ad esempio, la differenza tra lui e Mendelssohn: Goethe fu per il giovane e geniale musicista romantico un grande amico e un mentore. Da lui sentì magnifici racconti a proposito del Grand Tour in Italia, ma quando venne il suo turno di visitare il Bel Paese ne rimase profondamente deluso, mentre apprezzò profondamente i paesaggi nordici della Scozia. Un’altra prova della natura anfibia (per usare parole alfieriane) di Goethe è il fatto che il primo lied scritto su testo di Goethe sia uno di Mozart (Das Veilchen): bellissimo, ma sicuramente non romantico.

L’aspetto protoromantico di Alfieri affascinò Foscolo, che in gioventù scrisse una tragedia di impronta fortemente alfieriana (il Tieste). Foscolo si rivela così un anello di congiunzione tra Alfieri e Goethe (è innegabile, infatti, l’influenza del secondo su un’altra opera ben più nota di Foscolo, l’Ortis). Con l’Ortis Foscolo trasferisce il senso di malessere e di esclusione che Goethe aveva ambientato tra le mura domestiche di una piccola comunità borghese su un piano politico, mettendo in evidenza quel senso di tradimento che il fallimento della Rivoluzione Francese e l’imperialismo di Napoleone avevano lasciato in tutti gli intellettuali europei.

Ritratto di Beethoven eseguito da Carl Jaeger

Un sentimento simile può essere visto anche in Alfieri (che scrisse prima il Parigi Sbastigliato e poi il Misogallo), ma a questo proposito c’è ancora un personaggio musicale a cavallo tra classicismo e romanticismo che vorrei citare: Beethoven. Nonostante sia annoverato nella triade classica nei libri di storia della musica (non dimentichiamo che il suo pensiero è fortemente illuminista sotto molti aspetti, pensiero che formò a partire anche da letture dei classici greci in traduzione[5]), è innegabile che la sua musica abbia profondamente influenzato e ispirato le generazioni di musicisti romantici, che vi hanno intravisto lo stesso agitarsi di passioni sotto una rigida corazza classica che, in letteratura, vediamo in Alfieri (infatti i romantici hanno spesso indicato Beethoven come il padre della musica romantica, il presupposto per musica come quella di Wagner): credo, quindi, che la definizione di protoromantico non possa che essere considerata profondamente azzeccata. Tornando alla sensazione di delusione degli intellettuali europei, notissima è la reazione di Beethoven alla “rivelazione” dell’animo di Napoleone: strappò il frontespizio della sinfonia eroica, a lui dedicata. Ma, attenzione, come ricorda Dalla Seta[6] Beethoven non poté assolutamente rinnegare la verità estetica della sinfonia, che “rimarrà intatta finché ci sarà qualcuno capace di pensare la libertà”.


di Carlotta Petruccioli


[1] Termini interessanti, perché provenienti l’uno dal verbo φημί “dire” in greco e l’altro da numen “cenno” latino, letteralmente quindi la parola/il cenno degli dei. [2] E. Paratore, L’Agamennon di Seneca e l’Agamennone di Alfieri, in Dal Petrarca all’Alfieri: saggi di letteratura comparata, Olschki, 1975. [3] V. Alfieri, Vita, Feltrinelli, 2020. [4] Espressione usata da Schiller nella sua lettera a Goethe del 23 agosto 1794. [5] L. Magnani, Beethoven lettore di Omero, Einaudi, 1984 [6] F. Della Seta, Beethoven: Sinfonia Eroica, Carocci, 2019.

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