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"Mi chiamo Clément Mathieu, sono un musicista" - Les Choristes (2004)


Un'immagine dal film "Les Choristes" (2004)

Nel 1949 Clément Mathieu, un insegnante di musica disoccupato, trova lavoro in un istituto di rieducazione per minori. Qui l’uomo si scontra con la dura condizione in cui vivono i ragazzi e con il metodo educativo, particolarmente repressivo, di Rachin, il direttore.

È commovente come Mathieu riesca a far scaturire, in questa situazione drammatica, le sue doti per affrontare il dolore del fallimento, il senso di inadeguatezza e la solitudine esistenziale: dolori che straziano lui e i suoi giovani allievi.

Il mezzo che utilizza è la musica, universale veicolo di emozioni. Trasmettendo la sua passione, conquista la fiducia dei ragazzi, generando un cambiamento profondo che darà poi luogo alla possibilità di esprimersi creativamente e con soddisfazione.

Nel canto di Morhange, un ragazzino sensibile e chiuso alla vita, c’è bellezza, speranza e riconoscenza: la sua voce produce una melodia e un suono angelico che sottolineano le potenzialità di un ragazzo che fino a quel momento aveva comunicato solo la parte negativa di sé e sembrava essere irrecuperabile.

La passione per la musica, infatti, rappresenta metaforicamente la sensibilità dell’uomo, la sua disponibilità all’ascolto al di là delle parole e la capacità di percepire il bello anche quando ricoperto di negatività.

Il coro, d’altronde, è un gruppo di lavoro, che crea alleanza nel raggiungimento di un obiettivo comune. Per la sua realizzazione è richiesto un certo ordine, una disciplina rigorosa e il rispetto dei tempi; d’altra parte la musica in sé è fatta di ritmo e di tempi, e l’osservare di queste regole diventa formativo e gratificante perché rimanda a una consapevolezza di capacità, di fare qualcosa di buono e di rispettabile, che suscita addirittura ammirazione ed encomio. La coralità offre in più l’opportunità di creare legami, di sperimentare le relazioni in maniera soddisfacente e di entrare in armonia con gli altri: nei volti dei cantori si coglie luce, sguardi di complicità e di appartenenza.

Mathieu sa sintonizzarsi sulle difficoltà di ognuno dei ragazzi, sa porvi rimedio e creare degli accordi: tutti sono egualmente importanti per la riuscita del coro e tutti scoprono di essere utili e di valere.

Sono il rispetto che il maestro ha per i suoi “protetti” e la passione con cui li inizia alla musica che diventano lo strumento pedagogico vincente: il lavoro è vissuto come un gioco e tra di loro si stabilisce una reciprocità che produce cambiamento non solo nei ragazzi, ma anche in Mathieu stesso. Il maestro, infatti, fino a quel momento era un compositore in incognito; per amore dei ragazzi osa proporre i suoi spartiti e grazie alle voci del coro che danno corpo alla sue note, la sua musica acquista significato e dignità di esistere. Il compositore sentendosi all’unisono con i cantori e vivendo il momento magico di un’armonia profonda, finalmente realizzato, potrà scrivere sul suo diario: “Mi chiamo Clement Mathieu, sono un musicista e ogni notte compongo per loro”.


di Beatrice Cozzula

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