Nel 1949 Clément Mathieu, un insegnante di musica disoccupato, trova lavoro in un istituto di rieducazione per minori. Qui l’uomo si scontra con la dura condizione in cui vivono i ragazzi e con il metodo educativo, particolarmente repressivo, di Rachin, il direttore.
È commovente come Mathieu riesca a far scaturire, in questa situazione drammatica, le sue doti per affrontare il dolore del fallimento, il senso di inadeguatezza e la solitudine esistenziale: dolori che straziano lui e i suoi giovani allievi.
Il mezzo che utilizza è la musica, universale veicolo di emozioni. Trasmettendo la sua passione, conquista la fiducia dei ragazzi, generando un cambiamento profondo che darà poi luogo alla possibilità di esprimersi creativamente e con soddisfazione.
Nel canto di Morhange, un ragazzino sensibile e chiuso alla vita, c’è bellezza, speranza e riconoscenza: la sua voce produce una melodia e un suono angelico che sottolineano le potenzialità di un ragazzo che fino a quel momento aveva comunicato solo la parte negativa di sé e sembrava essere irrecuperabile.
La passione per la musica, infatti, rappresenta metaforicamente la sensibilità dell’uomo, la sua disponibilità all’ascolto al di là delle parole e la capacità di percepire il bello anche quando ricoperto di negatività.
Il coro, d’altronde, è un gruppo di lavoro, che crea alleanza nel raggiungimento di un obiettivo comune. Per la sua realizzazione è richiesto un certo ordine, una disciplina rigorosa e il rispetto dei tempi; d’altra parte la musica in sé è fatta di ritmo e di tempi, e l’osservare di queste regole diventa formativo e gratificante perché rimanda a una consapevolezza di capacità, di fare qualcosa di buono e di rispettabile, che suscita addirittura ammirazione ed encomio. La coralità offre in più l’opportunità di creare legami, di sperimentare le relazioni in maniera soddisfacente e di entrare in armonia con gli altri: nei volti dei cantori si coglie luce, sguardi di complicità e di appartenenza.
Mathieu sa sintonizzarsi sulle difficoltà di ognuno dei ragazzi, sa porvi rimedio e creare degli accordi: tutti sono egualmente importanti per la riuscita del coro e tutti scoprono di essere utili e di valere.
Sono il rispetto che il maestro ha per i suoi “protetti” e la passione con cui li inizia alla musica che diventano lo strumento pedagogico vincente: il lavoro è vissuto come un gioco e tra di loro si stabilisce una reciprocità che produce cambiamento non solo nei ragazzi, ma anche in Mathieu stesso. Il maestro, infatti, fino a quel momento era un compositore in incognito; per amore dei ragazzi osa proporre i suoi spartiti e grazie alle voci del coro che danno corpo alla sue note, la sua musica acquista significato e dignità di esistere. Il compositore sentendosi all’unisono con i cantori e vivendo il momento magico di un’armonia profonda, finalmente realizzato, potrà scrivere sul suo diario: “Mi chiamo Clement Mathieu, sono un musicista e ogni notte compongo per loro”.
di Beatrice Cozzula
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